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Il presidente Catarra dall'Assemblea nazionale UPI: "No ai tagli con l'accetta, che mortificano i territori, sì ad una seria riforma delle istituzioni di area vasta"

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ultima modifica 27/06/2012 17:01

L’accorpamento basato su criteri meramente numerici (minimo 350 mila abitanti, minimo 3 mila chilometri quadrati, minimo 50 Comuni), con conseguente soppressione di alcune Province, secondo la recente proposta formulata dal ministro Patroni Griffi, genera delle assurdità evidenti:

  • in Abruzzo “taglia” le province di Teramo e Pescara, che si troverebbero rispettivamente accorpate con quelle dell’Aquila e Chieti, e di conseguenza denominate. Un’aberrazione per ovvie ragioni storiche, geografiche, territoriali e socio-economiche: si vanno ad eliminare le due province che rappresentano il motore e il cuore pulsante dell’Abruzzo; ve lo immaginate il Comune di Teramo in provincia dell’Aquila o il Comune di Pescara in provincia di Chieti? Se un accorpamento è pure pensabile per l’area metropolitana Pescara-Chieti, appare del tutto improponibile per Teramo e L’Aquila;
  • in Italia produce delle “anomalie” altrettanto clamorose, come rilevato dagli organi di informazione: in Emilia potrà rinascere una sola Provincia sui territori di Parma e Piacenza, come ai tempi dei Papi Farnese. E in Toscana potrebbe sopravvivere una sola delle Province esistenti, quella di Firenze; fino al caso limite della provincia di Ascoli Piceno, prima divisa a metà per consentire la nascita di Fermo, e ora costretta a dissolversi perché non rispetta i parametri minimi di “sopravvivenza”.

Dopo il decreto «salva Italia», che ha già gettato province e territori nel caos e nella più totale incertezza, i tecnici ministeriali fanno dietrofront ma purtroppo imboccano ancora una volta un vicolo cieco, che è quello dei tagli draconiani fatti con l’accetta e facendo leva su parametri puramente numerici, senza tenere in minima considerazione il Paese reale, le sue dinamiche territoriali e socio-economiche. Gli accorpamenti impossibili creano dei “mostri” a tavolino, non certo degli enti efficienti e funzionali alle esigenze del territorio e del cittadino.
Tra l’altro, riguardo a questa ipotesi il ministro Patroni Griffi in sede di Assemblea nazionale dell’UPI in corso in questi giorni a Roma, non si è espresso, lasciando presagire una nuova marcia indietro. L’impressione è che, in assenza di ogni certezza sul futuro delle province, si sta navigando a vista.

L’unica seria riforma possibile, come abbiamo ribadito anche all’Assemblea, è quella tracciata dal piano presentato dalla stessa UPI.
Con l'accorpamento delle Province, la riorganizzazione complessiva degli uffici territoriali del governo intorno alle nuove realtà provinciali, il taglio degli enti strumentali statali, regionali e degli enti locali sono attesi risparmi certi stimati in circa 5 miliardi di euro l’anno (nel dettaglio: 2,5 miliardi dalla riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato; 1,5 miliardi dalla cancellazione di società, consorzi ed enti strumentali; 1 miliardo dalla riduzione e dall’efficientamento delle Province).

Questa l’unica via percorribile. Le Province vanno riformate e non c’è alcuna levata aprioristica di scudi in tal senso, ma questo può e deve avvenire solo con l’apporto determinante delle stesse e nel quadro di una seria riforma delle istituzioni di area vasta, seguendo un percorso che non può che essere coerente con le norme costituzionali oltre che con le essenziali dinamiche dei territori.


Viceversa, a fronte di ipotetici e non ben quantificabili risparmi, di certo ci sarebbero solo il caos più totale, disagi nei servizi e costi fuori controllo: tutto quello che in questo momento proprio non possiamo permetterci.
 

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